
Maurizio Arena
Medico
Specializzato in Neurologia
Sono nato nel Settembre del 1955, nello stesso anno nascevano Steve Jobs e Bill Gates e moriva Albert Einstein, personaggi questi che hanno profondamente contribuito alla mia formazione umanistica e scientifica.
Ho imparato nel tempo che "L'unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che facciamo", come diceva Steve Jobs, e mi sono persuaso che "Se oggi vado a letto non avendo fatto niente di nuovo rispetto a ieri, allora oggi è stato sprecato", sposando questo pensiero caro a Bill Gates, ma più di ogni altra cosa ho negli anni "Cercato di diventare non un uomo di successo ma piuttosto un uomo di valore", rendendo mio questo prezioso suggerimento di Albert Einstein.
Pessimo studente, ho tirato la carretta fino alla maturità, pensando più a divertirmi che a studiare, superando brillantemente la maturità scientifica con il minimo dei voti, e un sospiro di sollievo dei miei cari, giunti sfatti alla fine di questo tortuoso percorso.
Quando a casa mi fu chiesto cosa volessi fare dopo la maturità, in realtà fu mia madre a chiedermelo, avendo mio padre giustamente pensato, visti i trascorsi, un mio brillante futuro da operaio o impiegato semplice di concetto, la mia risposta fu psicologia.
Apriti cielo, fu un temporale di dissensi a trecentosessanta gradi, papà disse solo non se ne parla, i parenti si affrettarono a criticare la scelta.
In realtà non avevano tutti i torti, io non davo garanzie, neanche minime, e per altro la facoltà da me scelta non esisteva in città, e avrei dovuto frequentarla fuori sede.
Mamma, caparbia, mi offrì una seconda possibilità, io mi ricordo non esitai e dissi medicina, fu molto amara per papà e i parenti, ma dovettero accettare, sottoscrivendo un patto da gentiluomini con un unico articolo.
Un anno di tempo, se non lo avessi finito dandomi tutte le materie, si sarebbero spalancate le porte di un ufficio, dove una brillante carriera d'impiegato di livello basso, mi avrebbe fatto compagnia per tutta la vita.
Iniziò quello che io definisco metaforicamente il lungo periodo esistenziale orizzontale della mia vita, successi universitari, ragazze, mondanità, divertimenti, fino alla brillante laurea conseguita col massimo dei voti, a coronamento di un'inaspettata e felice carriera universitaria, portata a compimento con la specializzazione in Neurologia prima e Psicoterapia dopo.
Non meno brillante la carriera professionale, gratificante e piena di soddisfazioni ma ridotta ad un triste lavorificio e carrierificio, che ha spesso messo in discussione anche il mio equilibrio familiare, con mia moglie Nitta, che sposai nell'82, e dedita, in quegli anni, al difficile compito pedagogico di assistenza ai figli, Bruno e Claudio, ed io immerso nella vana rincorsa alla carriera ed alla scalata professionale.
Nel 2000, sopraffatto dal peso gravitazionale delle fatiche lavorative e dall'appiattimento soporifero del mio vissuto esistenziale orizzontale, presi una prima importante decisione, d'accordo con mia moglie lasciai l'attività ospedaliera e lavorai da libero professionista, riducendo notevolmente gli impegni e cercando di riconquistare a fatica il terreno perduto.
In ambito professionale non ho mai disgiunto l'interesse della neurologia clinica da quello della psicoterapia, perché ho sempre considerato la terapia, nella sua accezione più ampia, non una medicina che cura un sintomo, quanto piuttosto l'opportunità di potersi prendere "cura" della persona, sia sotto il profilo fisico, mentale e spirituale, nel rispetto della sua integrità psicosomatica.
E' così che "prendersi cura" dell'individuo vuol dire impegnarsi, interessarsi, rivolgergli attenzioni e considerazioni, non solo impostare una strategia terapeutica, ma assumere piuttosto un atteggiamento, un modus operandi, capace di garantire il miglioramento della qualità della vita, nei suoi molteplici aspetti.
E accanto agli interessi professionali ho rivolto nel tempo la mia attenzione ad altri ambiti, alla fotografia, alla musica, alla lettura ed alla scrittura in particolare.

Scrivere fa bene
La scrittura aiuta la mente ad elaborare il vissuto e ad affrontare ciò che si tiene dentro, consentendo di esplorare il proprio io, di guardare dentro le paure e le gioie, d'imparare ad ascoltare se stessi e gli altri.
La parola scritta è comunicare, scoprire se stessi, strumento per guarire dal mal di vivere, perché la parola ha una potenza rigenerativa profonda e magica, capace di vestire i pensieri, colorare le emozioni, dare vita ai sentimenti.
E' così che assemblare le parole in uno scritto, diventa dinamico strumento rivolto a se stessi e agli altri, capace di esplorare mondi interni ed esterni, svelare contenuti sopiti nella mente, evocare sentimenti, sollecitare emozioni, creare nuove opportunità.
Ne "Il mestiere di scrivere" Raymond Carver racconta le condizioni in cui scriveva; nei posti più disparati, in famiglia tra figli urlanti, durante le notti insonni, quasi a significare che la scrittura è vita, strettamente ad essa legata e non disordinatamente sregolata dal quotidiano scorrere del tempo.

Scrivendo fissiamo nella nostra mente ricordi o impressioni del nostro vissuto, capaci di favorire l'elaborazione degli eventi e degli accadimenti quotidiani, sollecitando in noi emozioni e sentimenti.
Scrivere è dedicare del tempo a noi stessi perché concentrandoci sulla scrittura dobbiamo interrompere ogni altra attività.
Spesso le emozioni che proviamo sono troppo intense e ci possono indurre in errore facendoci male, scrivendo possiamo prendere le distanze dalle cose, ed assumere punti di vista più distaccati.
Quando scriviamo, usciamo automaticamente dalla tendenza della nostra mente a fissarsi su pensieri ossessivi, mettendo ordine ai nostri pensieri favoriamo la comparsa spontanea di nuove idee e prospettive, favoriamo la creatività ed automaticamente il rilassamento.
Per
questo scrivere fa bene a noi stessi, perché permette di esprimere ciò che
abbiamo dentro, ci aiuta a capire, sintetizzare e affrontare ciò che ci fa
male.

Ma scrivere non fa bene solo a se stessi, è un opportunità per raggiungere gli altri quando non è possibile parlargli di persona, perché le distanze e le circostanze impediscono la relazione.
In questi casi accanto allo strumento di comunicazione, gioca un ruolo fondamentale il contenuto metaforico della scrittura, l'uso di frasi e pensieri usati in funzione di una relazione analogica con il concetto che dobbiamo esprimere, trasferendo il significato di un concetto in un altro che con questo presenta delle similitudini.
La metafora non solo arricchisce la propria scrittura, ma crea nel lettore un'immagine vivida di una scena, di una situazione, di un'emozione, eludendo la sua sfera razionale comunicando direttamente con l'emisfero cerebrale creativo dell'altro.
La metafora parte dal cuore dello scrittore, scaturisce dalle sue emozioni, con essa egli dona al lettore la parte più intima di se, affinché il ricevente del messaggio possa cogliere appieno ciò che l'autore vuole esprimere.
Nel creare metafore capaci di fare stare bene gli altri, dobbiamo, nello scrivere, riuscire a trasferire calore empatico, tale da potere rispondere ai bisogni universali delle persone, che sono stati individuati da Antony Robbins in: laurearsi, lavorare in una grande azienda, sposarsi, costruire una famiglia, vivere in giro per il mondo, ma che io preferisco cosi ridefinire: qualificarsi scolasticamente, lavorare, costruire una famiglia, essere cittadini del mondo, dare senso alla vita.
Ogni persona per soddisfare questi obiettivi, ha bisogno di sentirsi al sicuro, di vivere nuove opportunità, di sentirsi speciale per qualcuno, di essere riconosciuto per le proprie qualità e caratteristiche positive, di sentirsi amato, di amare, di crescere e diventare migliore, di fare qualcosa per fare stare bene gli altri.
A questo deve servire la scrittura metaforica, a favorire la soddisfazione di questi bisogni, così l'arte della scrittura diventa dono di se all'altro, capace di stare meglio con se stessi, di alzare il morale, di curare e allontanare lo stress, di dare significato alla vita.
Non sarebbe sufficiente scrivere per garantirsi una felicità edonica,
finalizzata al raggiungimento di un benessere personale, è indispensabile che
la scrittura possa favorire anche la felicità eudemonica, finalizzata al
benessere dell'altro.
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